La IASP (International Association Study of Pain) definisce con il termine “cronico” il dolore che supera i tre mesi di durata perché vuole avvisare che quel paziente che avverte dolore da tre mesi è un problema sotto molteplici punti di vista.
è difficile capire la vera origine del dolore visti i fallimenti di colleghi precedenti (necessità di attuare una diagnosi algologica clinica e strumentale)
è difficile trovare la terapia appropriata (necessità di combinazione tra terapie farmacologiche e mininvasive)
è necessario impostare una terapia a lungo termine (necessità di un sistema di rete)
è fondamentale identificare gli aspetti della sfera psicosociale (provvedere ad un sostegno psicologico o psichiatrico *)
è importante identificare i meccanismi patogenetici centrali ancora in parte sconosciuti (approfondire la fisiopatologia del dolore nel sistema nervoso centrale; siamo consapevoli che le attuali conoscenze di fisiopatologia riguardano la nocicezione dalla trasduzione, alla conduzione e alla trasmissione spinale e che poco sappiamo di come gli stimoli afferenti sono decodificati ed elaborati a livello del sistema nervoso sovra-spinale)
è necessario gestire la disabilità e la perdita del ruolo (provvedere a opportuna riabilitazione)
Per quanto riguarda la gestione dei pazienti con “Primary Pain” perché è necessario: A) disporre di test validi e utili alla loro identificazione onde evitare scelte terapeutiche inutili o addirittura dannose; B) Coordinare con il centro psichiatrico una presa in carico condivisa. Il Centro di Terapia del dolore ha la possibilità di identificare il paziente ma non le competenze per gestirlo.
Il dolore cronico "primary" è caratterizzato da sintomi fisici e psichici, da una ridotta qualità della vita, con interruzione delle attività quotidiane, da disagi psicologici. In questa categoria è sempre difficile identificare e distinguere il diverso ruolo giocato da fattori neurofisiologici, appartenenti al sistema nervoso centrale, piuttosto che quello giocato da fattori psicologici, che insieme creano un nuovo quadro di funzionamento del soggetto, dando origine a nuovi meccanismi di comportamento. Questi pazienti restano in cura ai servizi per anni senza trovare farmaci o soluzioni che possano permettere loro di gestire il dolore, la valutazione di tutti questi meccanismi che si sovrappongono e si influenzano tra di loro diventa critica, così come il trattamento, che non potrà che essere, in accordo con la visione bio-psico-sociale del dolore, di tipo multimodale. Un approccio di tipo multimodale permetterà di fornire un adeguato percorso di cura, di accogliere la complessità, il dolore e la sofferenza dei singoli. In un lavoro integrato le diverse figure di operatori (medici, psicologi, psichiatri, infermieri…) potranno creare una rete di supporto attorno al paziente, accolto nella sua unicità e specificità, proprio perché il dolore malattia ha a che fare con l’intero mondo del paziente e del suo modo di rapportarsi con esso.
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